Meritocrazia. Una parola difficile, sempre più usata. Ma che cosa vuol dire davvero nel lavoro? Questa espressione fu usata per la prima volta nel saggio The Rise of the Meritocracy di Micheal Young, sociologo inglese, del 1958. L’autore si riferiva a un sistema che si basa sugli sforzi e sull’intelligenza di tutti gli individui che lo compongono. Applicata al mondo del lavoro, indica un ambiente in cui assunzioni, stipendi e carriera dipendono dalle capacità reali delle persone. Le loro skills sono, quindi, il loro merito. Nepotismi, ambiguità e facilitazioni vengono banditi dal concetto di meritocrazia.
Ma non è tutto oro quel che luccica. Sarebbe sbagliato pensare che un ambiente meritocratico sia quello in cui ognuno fa quello che vuole secondo le sue inclinazioni. Meritocrazia non fa rima con anarchia (fonetica a parte). Ecco perché vogliamo sfatare i 5 falsi miti della meritocrazia sul lavoro per permettervi di capirla al meglio. Iniziamo:
Sfatando questi cinque punti, sentirsi apprezzati sul lavoro sarà più semplice, al di là dei cliché sulla meritocrazia. Parola usatissima dai Millennials, per i quali la meritocrazia è un concetto imprenscindibile. Di meritocrazia e mondo del lavoro abbiamo parlato anche in "Entrare nel mondo del lavoro: consigli pratici".
Se vuoi saperne di più sul mondo del lavoro, leggi Millennials: come inserirsi nel mondo del lavoro e scarica il glossario qui sotto!